Cantina Toblino  – raccontata da Giovanni Luigi Brumat

Cantina Toblino  – raccontata da Giovanni Luigi Brumat

Cantina Toblino, rappresentata dal Brand Manager Giovanni Luigi Brumat, è inclusa in 5StarWines – the Book,grazie a 5 vini che hanno ottenuto punteggi fantastici, due dei quali fanno parte della selezione dedicata ai vini organici, Wine Without Walls.

 

Durante la scorsa edizione di wine2wine, Giovanni Luigi Brumat ci ha raccontato la storia della Cantina Toblino e di alcuni dei vini prodotti.

La cooperativa è stata fondata nel 1960 da un piccolo gruppo di viticoltori che inizialmente producevano “vino da tavola” con viti di Nosiola per quanto riguarda i bianchi e di Schiava per i rossi. La Cantina ebbe poi un’importante crescita, che l’ha portata a contare oggi più di 600 coltivatori e 800 ettari di vigne, ma non è tutto! Cantina Toblino ha un asso nella manica: 40 ettari privati e certificati biologici situati di fronte all’edificio principale delle Cantine, che sono un simbolo dell’impegno per l’innovazione e la transizione verso la produzione biologica, iniziata nel 2012. Quasi 1/3 dell’intero territorio della Cantina (300 ettari) è certificato biologico: infatti Cantina Toblino possiede il 10% dell’intero numero di vigne biologiche nella provincia di Trento.

 

Quali vini produce Cantina Toblino?

Molte sono le bottiglie tra cui poter scegliere, ma partiamo dalle basi. Iniziamo dal Nosiola, una varietà autoctona di vite che permette di produrre diverse tipologie di vino. Ad esempio, un vino fresco e facile da bere, che viene sottoposto al processo di raffinamento in barili di acciaio. Oppure un vino secco, facilmente riconoscibile per la modalità di invecchiamento, che può durare fino a sei anni, in barili di quercia di grandissime dimensioni così da non lasciare un sapore troppo forte al risultato finale.

 

E il Vino Santo?

Il Vino Santo della Cantina Toblino è stato premiato come “Miglior Vino Dolce in Italia” dalla selezione di Gambero Rosso. Ma parliamo delle sue origini. La storia del Vino Santo inizia nei primi anni del XX Secolo. Cantina Toblino ha iniziato a produrlo nel 1965, per portarlo poi sul mercato 7 anni dopo, nel 1972. La cosà più interessante di questo prodotto, secondo le parole di Brumat, è che negli ultimi anni la tecnologia di produzione è cambiata. Oggi, infatti, la vendemmia di svolge durante la prima metà di ottobre, lasciando poi l’uva ad asciugare per 6 mesi. Questo processo è totalmente naturale, in quanto reso possibile da due venti. Il primo, il vento Lora, proviene del Lago di Garda ed è mite e soffice. Acquista velocità e si raffredda attraversando le valli di Bolzano e di Trento, ma quando passa per la valle dei Laghi prende la forma di una brezza leggera. L’altro vento, Peler, proviene dalle Dolomiti ed è forte e fresco. Entrambi i venti sono cruciali per il processo, dato che alcuni dei terreni delle vigne sono composti da argilla, un materiale non ottimale per il drenaggio dell’acqua: ecco quindi che il vento fa il suo dovere ed asciuga il terreno.

 

É sempre molto affascinante ascoltare le diverse storie delle Cantine, come sono nate, la loro crescita, il modo in cui affrontano il presente e i cambiamenti che hanno in progetto per il futuro. A 5StarWines e Wines Without Walls cerchiamo di farlo ogni volta che ci è possibile. Perché crediamo che il vino non sia solamente un prodotto proveniente dall’uva, ma il risultato di una storia fatta di famiglia, amicizia, sacrifici, duro lavoro e soprattutto tanta passione.

 

Foto da: Cantina Toblino

 

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Cantina di Soave: una chiacchierata con Wolfgang Raifer

Cantina di Soave: una chiacchierata con Wolfgang Raifer

 “Settecento33″ di Cantina di Soave è stato premiato come “miglior spumante del 2019″ da 5StarWines – the Book, con un fantastico punteggio di 93/100.

Questa, però, non è stata l’unica bottiglia Cantina di Soave a guadagnarsi un posto sulla nostra guida: per questo abbiamo deciso di fare due chiacchiere con Wolfgang Raifer, vicedirettore generale della Cantina. Uno dei focus, a 5StarWines, è sul networking e la creazione di contatti tra aziende vinicole e altri operatori del settore, oltre al riconoscimento di prodotti di livello. Ecco perché cerchiamo di cogliere ogni occasione per introdurre produttori di vino, direttori di cantine ed altre figure che svolgono un ruolo chiave in queste fantastiche realtà. Crediamo anche che il modo migliore per farlo sia lasciare che siano proprio loro a raccontare la loro storia ed è esattamente quello che farà con il nostro ospite.

 

Wolfgang Raifer, nato nella contea di Appiano, Alto Adige, è vicedirettore della Cantina di Soave. Ha fatto una chiacchierata con Monty Waldin, conduttore di “Italian Wine Podcast”, per raccontarci sia l’origine dell’azienda che i cambiamenti che si stanno verificando nel mondo del vino. La Cantina di Soave è il più grande produttore di “Soave”, e conta un totale di 6000 ettari e più di 2500 viticoltori.

 

“Soave” è una denominazione che risale al periodo dell’Impero Romano, quando questo termine veniva usato per classificare tutto il vino di grande qualità. La storia di questa tipologia di vino è sempre stata ricca di successi – nonostante le sfide nate negli ultimi anni per questo mercato. Raifer sostiene che l’approccio al mercato, per qualsiasi tipo di prodotto, debba essere lento, e finalizzato all’istruzione del consumatore sul prodotto: «un marchio non può essere forte a livello internazionale se non è forte anche in casa».

 

Come già detto, La Cantina di Soave è il più grande produttore di vino Soave, ma grande successo implica anche grandi responsabilità, tra le quali il creare in qualche modo uno standard di qualità. Raifer, rispetto a ciò, sottolinea che l’obiettivo principale per il vino Soave sia quello di mantenere la sua semplicità per ottenere un prodotto facilmente comprensibile ed altrettanto facilmente bevibile. Ciò che lo caratterizza al palato, oltre alla sua freschezza, sono i sapori di agrumi combinati ad un tocco di mandorla, un perfetto connubio che riesce sempre a mantenere una fresca acidità ma non troppo intensa: qualcosa di comprensibile a tutti ma pur sempre di alta qualità.

 

Per quanto riguarda il tema della sostenibilità, Wolfgang specifica: «abbiamo reso la sostenibilità una tra le nostre priorità sia in vigna che cantina: il nostro obbiettivo quotidiano è quello di usare meno energia e risorse per fare ciò che dobbiamo fare nelle cantine ed utilizzare solamente i trattamenti che sono effettivamente necessari nelle vigne».Dal punto di vista di Reifer, il rispetto per l’ambiente e la sostenibilità sono aspetti chiave, ma ancora prima di questi viene la necessità di essere realistici nell’introdurre cambiamenti e di farlo al ritmo giusto. L’approccio alla produzione biologica non può essere né forzato né fatto in fretta, soprattutto in una realtà di 6000 ettari, a cui lavorano viticoltori a tempo pieno, ma anche viticoltori più piccoli che riescono a dedicarsi ai vigneti solo nel fine settimana.

Il rispetto per l’ambiente, infatti, non può essere considerato tale senza includere il rispetto e la sostenibilità nei confronti di agricoltori, cultura e società. Molto è stato detto rispetto a questo tema, soprattutto recentemente, all’ultima edizione di wine2wine. Si tratta di cambiamenti che devono avvenire tenendo conto di tutti i fattori adiacenti. Vedere Cantine che hanno davvero a cuore tutte le fasi della produzione, dal principio alla comunicazione, può essere di stimolo per tutti, soprattutto se i cambiamenti sono tangibili. L’impegno per il lavoro viene sempre ripagato, e Cantina di Soave ne è un perfetto esempio.

 

 

Per scoprire tutti i vini che sono sulla guida di 5StarWines – the Book, clicca qui!

Vino Sostenibile: il Mercato del Futuro

Vino Sostenibile: il Mercato del Futuro

Sostenibilità e produzione sostenibile del vino. Un concetto semplice, a prima vista, ma cosa significa di preciso? Si tratta di una materia sempre più rilevante, soprattutto nell’industria food and beverage. Un termine semplice che sta influenzando sempre più velocemente sia il wine market che i suoi consumatori, aggiudicandosi sempre più rilevanza.

 

La tematica “sostenibile” è presente già dal 1972, quando fu introdotta durante la prima conferenza ONU. Solamente nel 1987, però, la “United Nations World Commission on Environment and Development” pubblicò un report in cui non solo fece chiarezza sul concetto, ma definì anche un obiettivo, tanto semplice quanto ancora attuale: “con sostenibilità, si intende l’esigenza di raggiungere uno sviluppo che riesca a soddisfare le necessità della generazione presente senza negare la stessa possibilità alle generazioni successive” (WCED, Brundtland Commission, “Our Common Future” 1987).

 

È oggi innegabile come termini quali “sostenibile”, “eco-friendly” o “organic” risveglino una particolare sensibilità nel consumatore, che di frequente però è portato ad usarli erroneamente come sinonimi (B. Campbell, H. Khachatryan, B. K. Behe, J. H. Dennis, 2015, “Consumer Perceptions of Eco-friendly and Sustainable Terms”). Spesso infatti, al concetto di sostenibilità, viene solamente associata la materia ambientale, tralasciando così tutto quello che riguarda cultura, società ed economia.

 

Partendo proprio da quest’ultimo punto, un report scritto da Schäufele e Hamm (2017), sottolinea come la produzione di vino con caratteristiche sostenibili possa essere una strategia di differenziazione vincente, accompagnata ovviamente da una graduale formazione ed informazione del cliente. Inoltre, il passaggio da viticulture tradizionali a nuove varietà sarebbe addirittura conveniente in termine economico. Spieghiamoci meglio: queste varietà di viti ottenute da incroci interspecifici, non hanno bisogno di trattamenti per mezzo di pesticidi in quanto più resistenti ad epidemie e funghi, e ciò porterebbe alla riduzione o al taglio dei costi dell’uso e produzione di antiparassitari.

 

C’è però da dire che l’adozione di queste nuove generazioni di viti è ancora in fase di regolamentazione, perché sarebbe in primis necessario tutelare le specie già presenti dal rischio di riduzione di biodiversità delle stesse, per non parlare poi del possibile ulteriore rischio dell’insorgenza di nuove malattie o il necessario adeguamento da parte dei consumatori. Importante è anche tenere a mente il cambiamento che potrebbe avvenire nel mercato del vino, in quanto le nuove varietà, entrandovi, creerebbero competitività diverse e dovrebbero sfidare la tradizione delle qualità secolari portando in rilievo il comune uso di pesticidi di quest’ultime.

 

Aggiungere quindi un ulteriore cambiamento, come potrebbe essere l’utilizzo di nuove specie di viti, richiede una grande elasticità da parte del produttore, che potrebbe percepirne solamente i rischi e non coglierne le opportunità. È però ormai impossibile negare quanto il mondo del food and beverage si stia spostando verso una realtà più sostenibile proveniente sia da fattori interni che dalla società stessa, che inizia quindi a cambiare i propri standard e soprattutto le proprie metriche di valutazione del significato di “qualità”.

 

In termini di ecologia e sostenibilità ambientale, invece, è probabile che con il tempo cambieranno i processi di trattamento, riducendo l’uso di additivi e coadiuvanti e diminuendo le pratiche enologiche ad energia intensiva. Un occhio di riguardo va anche all’imballaggio del prodotto: le bottiglie, infatti, nel processo di wine production, sono ad oggi uno dei maggiori fattori di emissione di carbonio.

 

Per far sì che questa direzione venga presa in modo omogeneo e soprattutto sostenibile a 360 gradi, è importante iniziare un processo di “accettazione” ed “accoglienza” soprattutto da parte di produttori ed esperti nel campo, che potranno così trasmettere il cambiamento al pubblico in modo positivo e graduale, mediante strumenti inclusivi e di nuova generazione come la realtà virtuale e il mondo digitale.

 

Noi di 5StarWines siamo consapevoli delle difficoltà che si presentano nella produzione di un vino sostenibile. Ecco perchè abbiamo creato Wine Without Walls, una sezione di 5StarWines – The Book dedicata al riconoscimento e alla valorizzazione su scala internazionale dell’impegno di produttori di vino biodinamico, biologico e a ridotto contenuto di solfiti.

 

La sostenibilità sarà il tema dell’edizione 2019 di wine2wine, che si terrà il 25 – 26 novembre a Verona. Si tratta si un forum internazionale arrivato alla sua 6a edizione, durante il quale ospiti del calibro di Bruce Sanderson – Senior Editor per Wine Spectator, Sonal Holland MW – unica Master of Wine in India and Gaia Gaja – Co-Owner ed International Brand Ambassador di Gaja Estates, tratteranno quest’importante dinamica in tutte le sue sfaccettature offrendo spunti, possibilità di networking, laboratori pratici ed altre attività con l’obiettivo di far dare forma ad un’industria del vino fiorente e sostenibile.

Che dire, ci vediamo lì?

 

 

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References
Campbell, Ben & Khachatryan, Hayk & Behe, Bridget & Dennis, Jennifer & Hall, Charles. (2015). Consumer Perceptions of Eco-friendly and Sustainable Terms. Agricultural and Resource Economics Review. 44. 21-34.
Schäufele, U. Hamm, Journal of Cleaner ProductionVolume 147, 20 March 2017, Pages 379-394 Consumers’ perceptions, preferences and willingness-to-pay for wine with sustainability characteristics: A review
Dietro le quinte: chi è il giudice-tipo di 5StarWines

Dietro le quinte: chi è il giudice-tipo di 5StarWines

È il 3 aprile 2019, calda mattina primaverile a Veronafiere. Negli spazi di Vinitaly International tutto è pronto per alzare il sipario su 5StarWines, la selezione di vini italiani e stranieri operata da esperti internazionali del settore altamente qualificati. Le protagoniste assolute dei tre giorni seguenti saranno le bottiglie, o almeno l’immagine mentale che compare sul palato dei giudici una volta identificati vitigno, provenienza e qualità delle centinaia di etichette degustate alla cieca.

Oggi però vogliamo portarvi dietro le quinte: spostando l’attenzione dall’oggetto al soggetto, ci chiediamo chi è il giudice-tipo di 5StarWines? Sulla base di quali criteri viene selezionato? Come si prepara a una degustazione impegnativa che prevede l’assaggio di centinaia di vini diversi? Sul nostro blog cercheremo di rispondere a queste domande, partendo dall’analisi delle personalità che vengono selezionate per questo tipo di eventi e cercando di fare chiarezza tra i vari titoli e sottotitoli della carriera di degustatore professionista.

Giudici e Comitato Scientifico

 Vediamo innanzitutto come è strutturata la giuria che ogni anno si incontra a Verona per selezionare le etichette che verranno pubblicate su 5StarWines – the Book.

Al vertice troviamo il Comitato Scientifico costituito da cinque General Chairmen, presieduti dal Senior General Chairman. I compiti principali del Comitato Scientifico prevedono la selezione della giuria e il giudizio finale sui vini valutati con punteggio pari o superiore agli 85 punti, a loro sottoposti dai Panel di degustazione. Nell’edizione 2019 il titolo di Senior General Chairman è stato affidato a Lynn Sheriff MW, blasonata degustatrice ed educatrice sudafricana.

La giuria viene suddivisa in Panel composti da cinque giudici, coordinati a loro volta da un Panel Chairman o presidente di giuria. Il panel è composto da un gruppo diversificato di individui, provenienti da differenti aree geografiche e background lavorativi nel mondo del vino: ognuno di essi degusta un numero fisso di bottiglie a sessione. A un panel specifico viene affidata la valutazione dei vini biologici, biodinamici e a basso contenuto di solfiti che andranno a costituire la sezione di Wine Without Walls dedicata a questi prodotti. Oltre ai giudici titolari, partecipano anche giudici apprendisti (Associated judges) e produttori vinicoli membri di Assoenologi.

Al termine dei tre giorni di degustazione solo le etichette valutate con punteggio pari o superiore a 90 punti verranno pubblicate nella guida. L’evento dello scorso aprile ha visto la partecipazione di 100 giudici e la promozione di 676 vini.

Un mondo di esperti

 Le categorie chiamate a valutare i vini per 5StarWines hanno i background più svariati all’interno nel panorama vitivinicolo. Lasciamo da parte un attimo i degustatori di professione: nella giuria troviamo anche i già menzionati produttori di vino, le firme della stampa quali giornalisti, editorialisti e autori, buyer, distributori, enologi, consulenti e influencer. La loro presenza assicura un tramite essenziale di collegamento al compratore e consumatore finale, e le loro capacità di assaggio e valutazione trovano fondamento in virtù della loro esperienza come conoscitori di tendenze, gusti e mercati internazionali.

Poi ovviamente ci sono i degustatori, ulteriormente suddivisi tra loro in base al titolo (spesso una sigla) e al livello di certificazione conseguito. Proviamo a vedere in dettaglio quali sono le principali caratteristiche di ogni categoria.

Chi è il giudice-tipo?

Master of Wine (MW): in tutto il mondo i detentori di questo titolo sono soltanto 390 e ciò basta a dare un’idea della rigorosissima preparazione e della vastità delle conoscenze richieste per diventare un MW. I corsi sono tenuti in tre continenti (Europa, Australasia e America) e prevedono almeno tre anni per essere completati. L’esame, a cui ci si può presentare cinque volte nell’arco di sei anni, comprende tre sessioni di blind tasting con 12 vini ciascuna, cinque argomenti teorici da sviluppare su produzione, wine business e temi di attualità, e una tesi di ricerca di 10.000 parole. L’Institute of Masters of Wine è stato fondato nel 1955 e ha sede centrale a Londra.

Master Sommelier (MS): questa certificazione si focalizza sulla figura del sommelier nell’ospitalità e nella ristorazione. Ci sono quattro livelli obbligatori da superare per diventare MS: Introduttivo, Certificato, Avanzato e Diploma MS. I circa 240 MS nel mondo detengono il più alto grado di abilità di riconoscimento del vino e delle sue qualità grazie alla loro specializzazione in questo campo.

 Italian Wine Ambassador (IWA) e Italian Wine Expert (IWE): i titoli IWA e IWE sono rilasciati dalla Vinitaly International Academy (VIA), istituzione che si focalizza su biodiversità, autenticità e originalità del vino italiano. I prerequisiti per accedere al corso sono padronanza dell’inglese e preferibilmente una conoscenza pregressa della materia avallata da esami WSET o equivalenti. L’esame si svolge dopo cinque giorni di training intenso che mira alla formazione di efficaci comunicatori del vino concentrandosi sulle varietà autoctone del panorama vinicolo italiano. Alla fine del percorso, il livello di certificazione dipende dal punteggio realizzato (fra 65 e 90 punti per IWA; +90 punti per IWE). Dal 2014 ci sono 202 IWA e 14 IWE.

 Wine and Spirits Education Trust (WSET): attivo dal 1969 e con oltre un milione di diplomati, il WSET è universalmente riconosciuto come il percorso di formazione più completo nell’ambito del vino e dei distillati. Si compone di quattro livelli in ordine di difficoltà crescente: ciascuno di essi mira alla creazione di un linguaggio codificato e di un metodo sistematico per definire il vino e le sue qualità, con approccio fortemente business-oriented. Il diploma WSET è pari a una qualificazione professionale ed è riconosciuto a livello internazionale.

 Cavaliere del Tastevin: la Confrérie des chevaliers du Tastevin è una prestigiosa associazione folkloristica della Borgogna, il cui scopo principale è la promozione dell’enogastronomia del territorio. La Confraternita nasce nel 1934 a Nuits-Saint-Georges e, nella suggestiva cornice dello Château du Clos de Vougeout, organizza delle esclusive sessioni di degustazione a cadenza semestrale per premiare con il sigillo del Tastevin i vini borgognoni selezionati. Parallelamente a questi eventi, una volta al mese viene indetta un’assemblea per nominare nuovi membri (circa 12.000 nel mondo): la carica di Cavaliere del Tastevin viene assegnata a personalità del mondo del vino che hanno dimostrato di possedere una conoscenza profonda del vino francese.

Questa, in sintesi, la panoramica degli addetti ai lavori che compongono la giuria di 5StarWines. Nel prossimo articolo scopriremo quali sono i criteri di selezione della giuria adottati dal Comitato Scientifico. Seguiteci per scoprirlo!

 

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Vino italiano in Sudafrica: terreno fertile per il mercato dell’importazione

Vino italiano in Sudafrica: terreno fertile per il mercato dell’importazione

Importare vino italiano in Sudafrica (SA) a prima vista può sembrare scoraggiante: stiamo parlando infatti di un Paese che già di per sé è produttore prolifico di vini da uve autoctone e internazionali. Per fare breccia in questo mercato sono necessari importanti accorgimenti, certamente impegno, ma anche creatività e pianificazione strategica. Per capire quali tipologie e stili di vino potrebbero essere competitivi a livello commerciale e quali sono le categorie di consumatori su cui puntare, occorre prima di tutto analizzare il mercato interno.

Il mercato interno sudafricano

Il quadro del mercato interno del vino in SA è fortemente dinamico. Negli ultimi anni la quantità di vino prodotto è aumentata esponenzialmente, accompagnandosi a un generale miglioramento nella qualità. Il SA inoltre è competitivo nell’industria dell’export, settore molto solido del wine business nazionale.

La superficie vitata totale consta di circa 235.000 acri o 95.000 ettari – secondo Forbes, equivalente al 40% del vigneto californiano. La viticoltura sudafricana è generalmente influenzata dai trend internazionali e si basa molto sulla domanda di esportazione. Le statistiche mostrano come i vitigni a bacca bianca costituiscano il 55,2% del vigneto totale, il più popolare dei quali è rappresentato da Chenin Blanc (18,6%). Fra le varietà a bacca rossa spicca il Cabernet Sauvignon (11%); al secondo posto troviamo lo Shiraz (10,3%), seguito dal Merlot (5,8%). L’autoctono Pinotage (incrocio tra Pinot Noir e Cinsault) è coltivato sul 7,4% della superficie totale.

In termini di produzione vinicola su scala globale, il SA si colloca al decimo posto nel mondo rappresentando il 3,4% di vino prodotto in volume complessivo.

Cosa dire dunque ai produttori italiani che intendono importare il proprio vino in SA? Come è strutturato il business dei vini internazionali nel mercato sudafricano? Quali sono le preferenze dei consumatori?

Le cose da sapere sull’import in Sudafrica

Secondo un rapporto WESGRO del 2017, l’import italiano in SA è un business dalle ampie prospettive di sviluppo. I numeri lo confermano: l’Italia è il secondo Paese dopo la Francia a colonizzare il mercato sudafricano con il suo vino. Segue il Portogallo al terzo posto. È inoltre importante prendere nota del fatto che Europa e SA godono di un accordo di libero scambio per i prodotti biologici. Il trend del vino biologico è ormai una realtà consolidata in Italia, e può diventare il fattore chiave su cui puntare per aumentare i volumi di esportazione in mercati ricettivi per questo tipo di prodotto.

La produzione vinicola sudafricana è influenzata particolarmente dalle questioni di equilibrio economico e dalla capacità di spesa. Il comportamento dei consumatori è intrinsecamente legato a questi due fattori, ed è cruciale per gli importatori effettuare un’analisi accurata del PIL di riferimento. Nel caso del SA, un leggero rallentamento nella crescita economica ha determinato un visibile calo nell’acquisto dei vini: di conseguenza occorre sviluppare delle strategie mirate per sollevare l’interesse del target di riferimento.

A queste analisi si deve affiancare lo studio approfondito della legislazione. Il SA negli ultimi anni ha adottato misure sempre più restrittive per quanto riguarda marketing e vendita del vino: le limitazioni si concentrano in particolare sulla regolamentazione dell’etichettatura e sulle regole relative alla commercializzazione degli alcolici. Per l’importatore italiano è necessario conoscere e rispettare le norme, nonostante in SA queste rendano sempre più difficile i processi di distribuzione e vendita del vino.

Import italiano in Sudafrica: i trend

Di quali strumenti può avvalersi l’importatore di vino italiano per orientarsi nel mercato sudafricano?

Prima di tutto occorre capire quanta domanda effettivamente c’è per il vino, non solo italiano ma in generale. In questi casi è utile consultare le statistiche sul consumo di alcolici. A livello nazionale, in SA birra e vino superano di gran lunga le altre bevande alcoliche (OMS): la birra (56%) a sua volta è molto più popolare del vino, che rappresenta “solo” il 18%.

I dati demografici dimostrano che gli uomini consumano più birra delle donne: lo scarto corrisponde al 34%, circa  quattro volte in più della controparte femminile, un dato che è rimasto pressoché invariato nel corso degli ultimi 12 anni. In generale, il consumo di alcolici nei maschi è quasi il doppio di quello delle femmine.

Il vino costituisce un caso isolato: la prevalenza del consumo maschile è infatti solo marginalmente superiore a quello femminile. Le donne superano gli uomini nel consumo di vini spumanti e Champagne (rispettivamente 8% e 7%). Questo ultimo dato è particolarmente interessante, in quanto ci dice che è in espansione un mercato per le bollicine italiane, su tutte Prosecco ma anche Metodo Classico come Franciacorta e Trentodoc.

Vino sudafricano da uve italiane

Se il mercato per i vini italiani in SA è ancora in via di sviluppo, i vini locali da uve italiane invece sono una realtà di discreto successo già da qualche tempo. Le varietà italiane costituiscono un piccolissimo segmento (meno dell’1%) del vigneto sudafricano, tuttavia la domanda cresce e i vini che ne risultano sono molto popolari. Le ultime notizie vengono da Città del Capo, in cui 30 cantine hanno almeno un vino da uve italiane nel loro portfolio. Questi dati costituiscono un segnale positivo per gli importatori, che possono contare su una fan-base già piuttosto consolidata.

Il terreno per i vini italiani in Sudafrica sembra dunque fertile. Considerati il trend del biologico, la popolarità delle bollicine e l’interesse crescente per i vini da uve autoctone italiane, c’è spazio di manovra per produttori e importatori italiani. Forse ci vorrà un piccolo sforzo in termini di marketing e una speciale attenzione alla legislazione, ma le prospettive di crescita sono promettenti.

 

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La leva per sollevare il tuo mercato cinese? Te ne diamo tre

La leva per sollevare il tuo mercato cinese? Te ne diamo tre

Alcuni valori culturali ed etici fortemente radicati nella società cinese si riflettono anche sul modo di operare di molte delle sue aziende. Capire e conoscere questi principi è un grande vantaggio per tutti gli imprenditori che mirano a rendere la propria posizione sul mercato cinese più forte e duratura. Se sei uno di questi, il nostro articolo fa al caso tuo.

L’approccio occidentale al lavoro è diventato parte del modus operandi di diverse compagnie cinesi. Nonostante ciò, molti dei rapporti commerciali instaurati in questo mercato si basano ancora su concetti millenari di ispirazione confuciana. In particolare, tre sono i valori culturali da seguire e conoscere per chi veramente vuole fare affari con la Cina.

Guānxi (关系) o “prima gli amici”

Il concetto del Guānxi è frutto del passato rurale della Cina, quando ogni relazione era basata su forti connessioni famigliari e vigeva un radicato senso di reciprocità. È un valore che nasce esclusivamente da un legame personale autentico, che solo in seguito può andare a sfociare nell’ambito lavorativo. Si ha il Guānxi, solo quando due persone diventano amiche.

La prima cosa da fare per una compagnia straniera che arriva in Cina è raggiungere un buon Guānxi. Come? Costruendo reti, conoscendo più persone possibili, stringendo relazioni personali. Solo quando il legame privato diventa abbastanza solido è tempo di cominciare a fidarsi della controparte e lavorare verso obiettivi commerciali. Il Guānxi ci aiuta a fare affari solo con qualcuno di cui ci fidiamo. Addirittura, firmare un contratto con qualcuno con cui non abbiamo un buon Guānxi rende il potere del patto più limitato. Perché? Perché in Cina alcuni sistemi legali non sono ancora completamente sviluppati ed affidarsi ad una protezione di tipo puramente giuridico non è abbastanza. Molto meglio contare su un legame che va oltre l’ambito lavorativo.   

Miànzi (面子) o “la gentilezza ripaga, sempre”

La nozione di Miànzi definisce la reputazione e la dignità di un individuo nei contesti sociali. I concetti di onore, prestigio e rispetto si acuiscono in molte culture orientali, ma è nella cinese che giocano un ruolo fondamentale per qualsiasi interazione sociale, specialmente nel mondo degli affari. Il Miànzi promuove proprio questi concetti. Negli ambienti lavorativi cinesi, dimostrare rispetto verso gli altri è una pratica fondamentale per raggiungere il Miànzi; rispettare per essere rispettato.

Hai previsto un viaggio a Pechino per alcuni dei tuoi dipendenti? Ricordagli allora di considerare, ascoltare e rispondere positivamente alle persone con cui dovranno interagire; sul mercato cinese, dimostrare un forte interesse verso l’altro viene premiato. Sempre. Al contrario, avvertili anche che l’indelicatezza o l’essere troppo diretti nell’esprimere opinioni può avere delle conseguenze negative (caratteristica che l’approccio cinese condivide con l’India, di cui abbiamo parlato nell’articolo “4 cose che dovresti sapere sul mercato del vino indiano”).

Rénqíng (人情) o “io aiuto te, tu aiuti me”

Questo concetto esplica sia le dimostrazioni di affetto e di attenzioni, che i benefici e le connessioni che derivano da queste. Per metterla in parole povere, il Rénqíng è il modo in cui due persone che si conoscono si aiutano e come questo sforzo risulti in un beneficio comune: tu mi aiuti questa volta, e la prossima ricambierò il favore. Chiaramente, quest’idea deriva dalla natura collettivista della società cinese, dove tutti si impegnano a dare il proprio contributo. Il Rénqíng si dimostra anche con dei gesti semplici, come il complimentare un amico o il portare un piccolo presente ad un collega. Un piccolo gesto, che però potrebbe portare la tua azienda molto lontano.

La prossima volta che vai in Cina da quei tuoi nuovi clienti dunque, non stupirti se qualche cena e qualche buona bottiglia non basteranno a chiudere l’affare. Ti serve qualcuno che conosca a menadito la visione di business della controparte cinese, che abbia costruito un forte Guānxi, che possa sfoggiare un’alta Miànzi e che magari sia già in debito di qualche favore. In realtà, dopo aver letto questo articolo il guru del mercato cinese sarai proprio tu

Vorremmo continuare a darti consigli utili per la tua azienda, ci lasci la tua mail?

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