4 cose che dovresti sapere sul mercato del vino indiano

4 cose che dovresti sapere sul mercato del vino indiano

Spesso citato come una delle piazze emergenti più importanti, il mercato indiano è intrinsecamente affascinante sia per le sue opportunità, che per le sfide che presenta. Un panorama così sfaccettato non merita che una particolare attenzione, soprattutto quando si parla di vino.

  1. Le cattive notizie

    L’India non ha una cultura del vino, e per di più, la bevanda è talmente estranea alla sua società da essere considerata un bene di lusso, così tanto da venire pesantemente tassata. In quattro stati indiani gli alcolici sono completamente proibiti, e in altri ancora sono soggetti a restrizioni molto dure. La pubblicità di bevande alcoliche è vietata in tutta la nazione e l’età legale per bere è di 25 anni. Il tutto è poi rinforzato dal divieto di tipo religioso che investe una parte della popolazione e quindi, il mercato indiano.

  2. …e le buone

    Con più di un miliardo di abitanti, l’India è il secondo paese più popoloso del mondo. Con 800 milioni di persone sotto i 35 anni, è anche la nazione più giovane del mondo, nonché quella con le più grandi opportunità di crescita. Dopo un innalzamento del PIL arrivato al 6.7% nel 2018, si stima che il PIL dell’India nel 2019 ammonterà ad un 7.5%, superando quello della Cina. Le vendite di alcolici nel paese sono in aumento. I drink “tradizionali” come il whisky, il rum e la birra continuano a dominare il consumo di alcol nella nazione, ma ciò non ha impedito al vino di cominciare ad attirare l’attenzione dei consumatori.

  3. Le opportunità

    La crescente disponibilità dei vini internazionali e nazionali ha provocato un significativo interesse verso il prodotto, causando un cambiamento nella scelta dei consumatori. La rapida urbanizzazione, l’avvicinamento dello stile di vita indiano a quello occidentale e l’innalzamento del reddito medio della popolazione hanno ulteriormente contribuito alla crescita in popolarità della bevanda alcolica. Tra il 2010 e il 2017 la wine industry indiana ha registrato un aumento annuale del 14%, facendo diventare il vino la bevanda che più di tutte sta registrando una crescita (da Wine Intelligence, The India Opportunity)

  4.  I dati

    L’India Wine Insider – il primo resoconto sull’industria del vino indiana pubblicato nel 2017 – ha scoperto come la maggior parte dei consumatori di vino del paese preferisca i vini internazionali a quelli domestici. Sebbene più costosi infatti, i vini stranieri sono percepiti come “superiori” in termini di qualità, packaging e addirittura considerati più adatti ad essere dati in regalo. Il segmento di mercato più rilevante del paese? Le donne, che a quanto pare, comprano tanto vino quanto gli uomini e anzi, per una bottiglia di vino spendono anche di più della loro controparte maschile. Come in altri mercati asiatici, le donne indiane vedono il vino come un elemento che le rende più eleganti, sofisticate, emancipate.

Al momento, il mercato indiano è largamente sottovalutato come consumatore di vino. Ma credeteci, le cose cambieranno. Come lo sappiamo? Il consumo nazionale pro capite della bevanda è ancora piuttosto basso, per la precisione, all’incirca lo stesso che la Cina aveva 15 anni fa. Perché dovremmo dunque farci attenzione? Perché oggi la Cina è un mercato dal quale non si può prescindere, e lo stesso potrebbe succedere per l’India tra qualche anno.

 

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Nella terra degli zar: qualche dritta su come esportare il tuo vino in Russia

Nella terra degli zar: qualche dritta su come esportare il tuo vino in Russia

Dopo la crisi politica del 2014, il mercato russo ha subito dei forti cambiamenti che resistono tutt’oggi. Il collasso del rublo e l’embargo sui prodotti provenienti da determinati paesi però non sono conseguenze negative per tutti: sei un produttore italiano che vuole esportare il proprio vino in Russia? In questo articolo, parliamo proprio di te.

In Russia è tradizione che le bottiglie vuote vengano appoggiate sul pavimento. Si dice che questa usanza risalga ai tempi delle guerre contro Napoleone: dopo la Battaglia di Parigi nel 1814, i cosacchi russi realizzarono che il numero dei drink addebitati a ciascuno veniva calcolato sulla base del numero di bottiglie lasciate sul tavolo nei ristoranti. Da lì, l’idea di cominciare a nasconderle. Tradizioni a parte, in questo articolo ci vogliamo concentrare invece su cosa contengono queste bottiglie quando, da piene, si trovano sulle tavole russe.

Il drink preferito dai russi? No, non è la vodka

Gli stereotipi ci insegnano che la cultura del bere russa è interamente basata sulla vodka. Si tratta di una credenza assolutamente vera dal punto di vista culturale – la vodka è tuttora un pilastro della società russa – ma non del tutto accurata in termini di vendite e consumi. Ti consigliamo di mettere via quei bicchierini e tirare fuori un bel boccale, perché a farla da padrona in Russia è la birra!

Già nel 2017, la birra deteneva l’83% delle vendite e del consumo nazionale di alcolici. A migliorare ulteriormente lo status della bevanda ci ha pensato poi il Campionato mondiale di calcio del 2018. La FIFA World Cup ha avuto un enorme impatto sull’andamento del mercato russo in generale, ma ha anche decretato un aumento del 5% del consumo di birra nel paese: si pensa infatti che le migliaia di turisti stranieri abituati a godersi un goccio durante le partite abbiano attaccato questa usanza anche ai tifosi russi (da Russia’s Alcohol Market: What the Russians are Drinking, World Food Moscow). Di conseguenza, le importazioni della bevanda al luppolo sono salite alle stelle. Ma non sono le sole. La Federazione russa è tanto assetata di birra quanto lo è di vino. Per una cantina, dunque, la strada per entrare nel paese è sì concreta, ma pur sempre tortuosa.

Un panorama non troppo brillante

A causa del conflitto russo-ucraino, nel 2014 il rublo è collassato, creando complicazioni che resistono ancora oggi. Se nel 2013 i russi potevano permettersi di pagare delle bottiglie di Chianti rincarate del 300%, solo due anni dopo molti wine bar del paese si sono trovati a dover offrire ai propri clienti dei vini con un diverso rapporto qualità-prezzo. Nello stesso periodo, la richiesta di vini al bicchiere è aumentata e ristoranti e locali hanno dovuto cominciare a intrecciare relazioni commerciali direttamente con i produttori (si veda Russian wine lovers are flexing their wine palates, Meininger’s Wine Business International). Si stima che, nei prossimi anni, il crescente tasso di inflazione e il previsto innalzamento dell’IVA contribuiranno ulteriormente a peggiorare la situazione e a limitare il potere d’acquisto della popolazione.

I consigli dall’insider

Come contrastare questo panorama alquanto negativo? Come esportare vino in Russia? Lo abbiamo chiesto a Nikolay Chashchinov, Direttore della Millesime Wine School di San Pietroburgo:

«Penso che i produttori italiani abbiano una posizione privilegiata rispetto ad altri. Noi russi abbiamo una passione sfrenata per i vini italiani e questo non può che essere un enorme vantaggio per il vostro paese. Cosa dovrebbe fare un produttore di vino italiano? Per prima cosa, è essenziale che i suoi vini siano stati pubblicati su alcune testate e guide, tra le più rilevanti: WineSpectator, Wine Advocate, 5StarWines e il Gambero Rosso. Un passo decisivo è poi l’organizzazione di programmi di Incoming rivolti non solo agli importatori: visto il crescente ruolo decisivo dei ristoratori infatti, questo tipo di attività dovrebbe essere diretta anche a queste figure. I piccoli produttori devono puntare proprio ai ristoranti: il mercato sta cambiando e il ruolo dei grandi importatori sta subendo un arresto, lasciando spazio ai buyer delle grandi catene di vendita al dettaglio»

In conclusione…

Chashchinov non ha torto: i produttori italiani sono effettivamente molto avvantaggiati rispetto ad altri. In primis perché, al contrario di altre nazioni, su tutti gli alcolici provenienti dall’Europa non va applicato alcun embargo. In secondo luogo perché quando si parla di vino, in Russia l’Italia è già il paese di riferimento. Rispetto ai produttori di altri paesi, dunque, è molto più facile per una cantina italiana stabilire un contatto con i consumatori e gli imprenditori russi. Questo può avvenire anche grazie a eventi come Vinitaly Russia, organizzato da Vinitaly International. Non ti resta che iscrivere la tua cantina ad una delle guide consigliate da Nikolay, noi (in modo assolutamente imparziale) ti suggeriamo 5StarWines.

 

La nostra serie sui paesi BRICS è solo al secondo articolo…
Il prossimo parlerà dell’India: vuoi assicurarti di non perderlo?
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Cosa abbinare al tuo vino italiano? Il mercato brasiliano

Cosa abbinare al tuo vino italiano? Il mercato brasiliano

Immagina di essere davanti ad uno scaffale con decine di etichette. La maggior parte di queste proviene da Brasile, Cile e Argentina; alcune dal Portogallo e dall’Italia; meno da Francia e Spagna. Ora immagina che questo scaffale si trovi in un’enoteca nell’undicesima città più popolata al mondo, che a sua volta è nel quinto paese più grande del pianeta. Aggiungici poi che attorno a te la cultura del vino è ancora molto giovane, e che i consumatori di quella zona sono particolarmente incuriositi dal prodotto. “E dove sono finito?”, ti chiederai… bem-vindo ao Brasil!

Ancora oggi, il ruolo del Brasile come consumatore di vino viene sottovalutato da molti. L’idea che il paese non abbia una wine culture sufficientemente sviluppata pianta le sue radici nella storia brasiliana. Questa convinzione, anche se in parte fondata, sarebbe dovuta cambiare già nei primi anni ’90, quando l’economia del Brasile – fino a quel momento chiusa – si aprì al resto del mondo.

I brasiliani e il vino

È vero, i brasiliani hanno cominciato a consumare vini stranieri solo negli ultimi 30 anni, questo però, non vuol dire che siano estranei al prodotto. Se a portare le prime viti a metà del XVI secolo furono i coloni portoghesi, a cambiare le sorti del paese come produttore e consumatore di vino fu l’arrivo degli immigrati italiani nel XIX. Non a caso, la regione del Rio Grande do Sul – dove si insediarono la maggior parte degli italiani – è ora la zona dove viene prodotto il 90% di tutti i vini locali. Con l’arrivo dei nostri compatrioti infatti, approdarono in Brasile anche molte delle competenze tecniche e della cultura del consumo del Bel Paese, che fecero alzare la qualità della bevanda dandole anche una certa rilevanza economica.

Dalla fine del 1800 alla fine del 1900 dunque, in Brasile si bevono quasi esclusivamente vini locali. Ai giorni nostri le cose sono cambiate, ma il competitor più pericoloso per un produttore straniero rimane ancora il produtor de vinho brasiliano. Ad oggi, il 62% dei vini bevuti nel paese sono prodotti interni. Come è spartito il restante 38%? Tra gli altri, spiccano Cile, Argentina e Portogallo (da Wine News, L’Italia del vino cresce in Brasile, mercato piccolo nei numeri, ma trainante per la crescita, 2019).

Ma scopriamo di più sui brasiliani come compratori. Il recente “Wine Intelligence Brazil Landscape 2019 report” di Wine Intelligence ci dice che il Brasile del vino è in crescita, così come i suoi consumi e i suoi consumatori. Negli ultimi tre anni i wine loverbrasiliani sono diventati 32 milioni. Il 70% di loro si concede almeno un calice di vino alla settimana, il restante uno almeno una volta al mese. Sono le nuove generazioni ad avere aiutato questa crescita: si parla di appassionati curiosi di provare nuove varietà, e per di più disposti a spendere per una bottiglia particolare. Il Brasile poi è il 26° mercato vinicolo più attraente del mondo, nonché la nazione che sotto questo punto di vista è cresciuta di più e in meno tempo (nel 2017 si trovava ancora al 38° posto).

E l’Italia?

In tutto ciò, che ruolo gioca l’Italia? Per ICE (Istituto nazionale per il commercio estero), le prospettive per il nostro paese sono positive. Nonostante una diminuzione in volume del 9% dal 2017 al 2018, il vino italiano ha visto crescere il valore delle sue esportazioni a 40,6 milioni di euro (+3,23%) con una quota di mercato, tra i vini stranieri, del 10,9%. Oltre a ciò, nei primi 9 mesi del 2018 il mercato brasiliano è valso alle nostre cantine ben 26 milioni di euro (da WineNews, In Brasile crescono i consumatori, numeri in crescita nel triennio 2016-2019. Italia ancora indietro, 2019). La maggior parte dei vini italiani importati in Brasile sono “fermi” e le regioni trainanti sono Toscana, Piemonte e Veneto. A rendere competitiva l’Italia è la sua ampia offerta di vitigni autoctoni, che la fa anche concorrere in diverse nicchie di mercato interessanti per il Brasile.

I consigli dall’insider

Con questi numeri, per i produttori italiani si rende necessario un piano ben studiato prima di entrare nel paese. Al riguardo, Bernardo Pinto, Technical Director per Zahil Importadora, ha commentato:

« Il mercato brasiliano è mutevole, nel senso che i trend possono nascere e sparire in pochi mesi. È appassionato, infatti a noi brasiliani piacciono i viaggi, le storie, la gente. Quando un prodotto ci entusiasma ci rimaniamo legati, quasi vincolati, e facciamo di tutto per diventarne ambasciatori. Sicuramente il brasiliano medio non ha conoscenze approfondite sul vino, ma è anche vero che l’interesse verso questa bevanda è enorme. La concorrenza qui è spietata, per non parlare della burocrazia: il solo sistema dei dazi richiede il consulto di professionisti specializzati.

Per riuscire a conquistare il più grande paese del Sudamerica, un produttore italiano deve tenere a mente tutti questi aspetti e trovare il punto di equilibrio tra il potenziale di vendita e gli sforzi richiesti. Un produttore inoltre deve avere ben chiaro il proprio obiettivo. Cosa vuole fare in Brasile? Vuole migliorare la distribuzione? Aumentare il volume di business? In ogni caso, il consiglio migliore che posso dare è quello di trovarsi un buon partner, qualcuno che faccia il lavoro in loco. Ciò però non vuol dire lasciare tutto nelle sue mani. Il produttore deve comunque essere presente, collaborare. Per vendere in Brasile devi vedere ed essere visto, conoscere e farti conoscere »

Il futuro

Secondo le previsioni dell’Euromonitor, il mercato brasiliano di vino continuerà a crescere, fino ad arrivare a 352 milioni di litri nel 2022. Ciò influenzerà anche le importazioni di vino italiano, che vedranno un +17% proprio fino al medesimo anno. A considerare il Brasile un mercato del futuro c’è anche Veronafiere, che nel 2018 ha sia organizzato la prima edizione di Wine South America (fiera che quest’anno si terrà a Bento Gonçalves dal 25 al 27 settembre) che inserito una sessione sul paese a wine2wine – forum sul business del vino – disponibile su Facebook.

Il Brasile però non è l’unico mercato in espansione che dovresti tenere d’occhio: per scoprire quali altri, devi solo iscriverti alla nostra newsletter.

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Non solo Cina: gli altri paesi che dovresti (davvero) considerare per il tuo wine export

Non solo Cina: gli altri paesi che dovresti (davvero) considerare per il tuo wine export

La partecipazione ad un concorso enologico porta a molti benefici per il wine export. Un maggiore appeal sul consumatore, una spinta promozionale e un miglioramento della brand reputation sono alcuni dei fattori che spingono ogni anno migliaia di cantine in tutto il mondo ad iscriversi. Ciò che forse non è altrettanto chiaro sono le strategie e le ricerche portate avanti dagli organizzatori nel pianificare il loro evento.

Nell’organizzare i concorsi enologici, si deve tenere conto delle costanti evoluzioni del mercato internazionale; prestare attenzione ai cambiamenti di tendenze, consumi e – perché no – anche a quelli politici, per offrire alla cantina un servizio il più valido e produttivo possibile. Uno dei modi per fornire un’esperienza veramente vantaggiosa, è quello di reclutare giudici provenienti da paesi chiave per l’export vinicolo. Prendere l’impegno di ingaggiare non solo professionisti del settore di un certo calibro, ma di lavorare con esperti di vino che conoscano a fondo zone di interesse per il mercato del vino italiano. A questo proposito, calzano a pennello i paesi BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa–, che dopo esser stati il centro dell’attenzione per la maggior parte dei primi anni duemila e aver perso terreno nel 2015, sono da poco tornati alla ribalta e meritano quindi un’attenzione particolare.

Nuove rotte per il wine export

Gli ultimi 20 anni sono stati caratterizzati dal graduale affermarsi di un “aggregato geo-economico” identificato dall’acronimo BRICS. Gli stati facenti parte di questo gruppo sono accomunati da alcuni elementi fondamentali: la condizione di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali strategiche, una forte crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale nell’ultimo decennio.

Il conglomerato è stato identificato per la prima volta nel 2001 dall’analista Jim O’Neill, in un documento redatto per la banca di investimenti Goldman Sachs. Inizialmente, O’Neill prese in considerazione solo Brasile, Russia, India e Cina (il Sud Africa venne aggiunto in seguito). Secondo l’analista, le quattro nazioni avrebbero dominato il secolo appena iniziato e urgeva dunque cominciare ad aprire loro le porte dell’economia mondiale.

Ad anni di distanza, non si può negare che O’Neill ci avesse visto lungo: solo pochi anni fa, i BRICS detenevano il 20% del PIL mondiale e circa il 16% del commercio internazionale. Comprendono tuttora inoltre il 42% della popolazione totale e il 25% dell’intera estensione della Terra (da Camera dei Deputati, BRICS, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, 2015). Si tratta di mercati che da tempo registrano alti – anche se differenziati – ritmi di sviluppo economico e che presentano prospettive di crescita ancora molto rilevanti.

BRICS: ieri, oggi e domani

Le potenze si sono riunite per un primo incontro informale nel 2006 a New York ed è nel 2010 che hanno deciso di invitare il Sudafrica a partecipare. Il primo incontro, a livello di Capi di Stato e di Governo, si è svolto invece a Tōyako (Giappone) il 9 luglio 2008, a margine del G8. A questo primo vertice sono seguiti degli incontri annuali che continuano ancora oggi, con il summit del 2019 che si svolgerà il 13 e il 14 novembre a Curitiba, in Brasile.

Dal loro primo summit, le relazioni tra i 5 BRICS si sono consolidate e i Paesi sono ormai diventati partner in diversi campi di cooperazione, dall’economia alla geopolitica, passando per la sicurezza e la lotta al terrorismo. Gli obiettivi alla base della loro collaborazione vanno dal commercio allo sviluppo di infrastrutture, con l’ambizione di spostare il baricentro del mondo da Occidente ad altri punti di incontro.

Sebbene siano simili sotto molti punti di vista e condividano gli stessi traguardi, è importante tenere a mente che si tratta di 5 paesi ben distinti, con caratteristiche peculiari e differenti situazioni geopolitiche. È in particolare nel 2013, dopo la crisi economica mondiale, che le sorti dei 5 stati hanno cominciato a divergere. Se da una parte tutti hanno risposto positivamente agli stimoli della crisi finanziaria (al contrario di Europa e Stati Uniti), dall’altra, solo India e Cina sono cresciuti in modo esponenziale, lasciando indietro le altre nazioni.

Mentre negli ultimi anni l’IC asiatico non è mai sceso sotto il 6% di crescita del PIL (e non mostra segni di rallentamento), i dati e le previsioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI) confermano quanto Brasile, Russia e Sudafrica fatichino a tenere il passo con India e Cina. Ciò nonostante, al 2018, il FMI ha confermato trend di sviluppo positivi per i cinque protagonisti del vertice BRICS, riportando l’attenzione internazionale su questi Paesi. Nello specifico, i dati mostrano come l’India crescerà con un tasso del Pil reale del 7.4%, la Cina del 6.6% (dato che assicurerebbe entro il 2030 il sorpasso dell’economia americana), il Brasile del 2.3%, la Russia del 1.7%, e il Sudafrica del 1.5% (da affariinternazionali.it, I BRICS, l’Occidente e il “cellophane del colonialismo”, 2018).

Tirando le somme…

I BRICS rappresentano dunque un’interessante opportunità sia per le cantine italiane che si affacciano per la prima volta sui mercati stranieri, che per le cantine con più esperienza nell’export vinicolo che mirano ad esplorare paesi lontano dai radar, ma comunque rilevanti. Come abbiamo già detto, il fronte BRICS è compatto, ma non unico. Ogni stato deve essere valutato come un’entità a sé stante e differenti strategie di wine export devono essere adottate per l’entrata su ciascuno dei mercati. Per capire meglio le tendenze e le necessità di ciascuna nazione, nei prossimi mesi ti porteremo ad esplorare Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, con l’aiuto di alcuni giudici di 5StarWines e altre figure strumentali alle nostre tematiche.

 

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