Dietro le quinte: chi è il giudice-tipo di 5StarWines

Dietro le quinte: chi è il giudice-tipo di 5StarWines

È il 3 aprile 2019, calda mattina primaverile a Veronafiere. Negli spazi di Vinitaly International tutto è pronto per alzare il sipario su 5StarWines, la selezione di vini italiani e stranieri operata da esperti internazionali del settore altamente qualificati. Le protagoniste assolute dei tre giorni seguenti saranno le bottiglie, o almeno l’immagine mentale che compare sul palato dei giudici una volta identificati vitigno, provenienza e qualità delle centinaia di etichette degustate alla cieca.

Oggi però vogliamo portarvi dietro le quinte: spostando l’attenzione dall’oggetto al soggetto, ci chiediamo chi è il giudice-tipo di 5StarWines? Sulla base di quali criteri viene selezionato? Come si prepara a una degustazione impegnativa che prevede l’assaggio di centinaia di vini diversi? Sul nostro blog cercheremo di rispondere a queste domande, partendo dall’analisi delle personalità che vengono selezionate per questo tipo di eventi e cercando di fare chiarezza tra i vari titoli e sottotitoli della carriera di degustatore professionista.

Giudici e Comitato Scientifico

 Vediamo innanzitutto come è strutturata la giuria che ogni anno si incontra a Verona per selezionare le etichette che verranno pubblicate su 5StarWines – the Book.

Al vertice troviamo il Comitato Scientifico costituito da cinque General Chairmen, presieduti dal Senior General Chairman. I compiti principali del Comitato Scientifico prevedono la selezione della giuria e il giudizio finale sui vini valutati con punteggio pari o superiore agli 85 punti, a loro sottoposti dai Panel di degustazione. Nell’edizione 2019 il titolo di Senior General Chairman è stato affidato a Lynn Sheriff MW, blasonata degustatrice ed educatrice sudafricana.

La giuria viene suddivisa in Panel composti da cinque giudici, coordinati a loro volta da un Panel Chairman o presidente di giuria. Il panel è composto da un gruppo diversificato di individui, provenienti da differenti aree geografiche e background lavorativi nel mondo del vino: ognuno di essi degusta un numero fisso di bottiglie a sessione. A un panel specifico viene affidata la valutazione dei vini biologici, biodinamici e a basso contenuto di solfiti che andranno a costituire la sezione di Wine Without Walls dedicata a questi prodotti. Oltre ai giudici titolari, partecipano anche giudici apprendisti (Associated judges) e produttori vinicoli membri di Assoenologi.

Al termine dei tre giorni di degustazione solo le etichette valutate con punteggio pari o superiore a 90 punti verranno pubblicate nella guida. L’evento dello scorso aprile ha visto la partecipazione di 100 giudici e la promozione di 676 vini.

Un mondo di esperti

 Le categorie chiamate a valutare i vini per 5StarWines hanno i background più svariati all’interno nel panorama vitivinicolo. Lasciamo da parte un attimo i degustatori di professione: nella giuria troviamo anche i già menzionati produttori di vino, le firme della stampa quali giornalisti, editorialisti e autori, buyer, distributori, enologi, consulenti e influencer. La loro presenza assicura un tramite essenziale di collegamento al compratore e consumatore finale, e le loro capacità di assaggio e valutazione trovano fondamento in virtù della loro esperienza come conoscitori di tendenze, gusti e mercati internazionali.

Poi ovviamente ci sono i degustatori, ulteriormente suddivisi tra loro in base al titolo (spesso una sigla) e al livello di certificazione conseguito. Proviamo a vedere in dettaglio quali sono le principali caratteristiche di ogni categoria.

Chi è il giudice-tipo?

Master of Wine (MW): in tutto il mondo i detentori di questo titolo sono soltanto 390 e ciò basta a dare un’idea della rigorosissima preparazione e della vastità delle conoscenze richieste per diventare un MW. I corsi sono tenuti in tre continenti (Europa, Australasia e America) e prevedono almeno tre anni per essere completati. L’esame, a cui ci si può presentare cinque volte nell’arco di sei anni, comprende tre sessioni di blind tasting con 12 vini ciascuna, cinque argomenti teorici da sviluppare su produzione, wine business e temi di attualità, e una tesi di ricerca di 10.000 parole. L’Institute of Masters of Wine è stato fondato nel 1955 e ha sede centrale a Londra.

Master Sommelier (MS): questa certificazione si focalizza sulla figura del sommelier nell’ospitalità e nella ristorazione. Ci sono quattro livelli obbligatori da superare per diventare MS: Introduttivo, Certificato, Avanzato e Diploma MS. I circa 240 MS nel mondo detengono il più alto grado di abilità di riconoscimento del vino e delle sue qualità grazie alla loro specializzazione in questo campo.

 Italian Wine Ambassador (IWA) e Italian Wine Expert (IWE): i titoli IWA e IWE sono rilasciati dalla Vinitaly International Academy (VIA), istituzione che si focalizza su biodiversità, autenticità e originalità del vino italiano. I prerequisiti per accedere al corso sono padronanza dell’inglese e preferibilmente una conoscenza pregressa della materia avallata da esami WSET o equivalenti. L’esame si svolge dopo cinque giorni di training intenso che mira alla formazione di efficaci comunicatori del vino concentrandosi sulle varietà autoctone del panorama vinicolo italiano. Alla fine del percorso, il livello di certificazione dipende dal punteggio realizzato (fra 65 e 90 punti per IWA; +90 punti per IWE). Dal 2014 ci sono 202 IWA e 14 IWE.

 Wine and Spirits Education Trust (WSET): attivo dal 1969 e con oltre un milione di diplomati, il WSET è universalmente riconosciuto come il percorso di formazione più completo nell’ambito del vino e dei distillati. Si compone di quattro livelli in ordine di difficoltà crescente: ciascuno di essi mira alla creazione di un linguaggio codificato e di un metodo sistematico per definire il vino e le sue qualità, con approccio fortemente business-oriented. Il diploma WSET è pari a una qualificazione professionale ed è riconosciuto a livello internazionale.

 Cavaliere del Tastevin: la Confrérie des chevaliers du Tastevin è una prestigiosa associazione folkloristica della Borgogna, il cui scopo principale è la promozione dell’enogastronomia del territorio. La Confraternita nasce nel 1934 a Nuits-Saint-Georges e, nella suggestiva cornice dello Château du Clos de Vougeout, organizza delle esclusive sessioni di degustazione a cadenza semestrale per premiare con il sigillo del Tastevin i vini borgognoni selezionati. Parallelamente a questi eventi, una volta al mese viene indetta un’assemblea per nominare nuovi membri (circa 12.000 nel mondo): la carica di Cavaliere del Tastevin viene assegnata a personalità del mondo del vino che hanno dimostrato di possedere una conoscenza profonda del vino francese.

Questa, in sintesi, la panoramica degli addetti ai lavori che compongono la giuria di 5StarWines. Nel prossimo articolo scopriremo quali sono i criteri di selezione della giuria adottati dal Comitato Scientifico. Seguiteci per scoprirlo!

 

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Vino italiano in Sudafrica: terreno fertile per il mercato dell’importazione

Vino italiano in Sudafrica: terreno fertile per il mercato dell’importazione

Importare vino italiano in Sudafrica (SA) a prima vista può sembrare scoraggiante: stiamo parlando infatti di un Paese che già di per sé è produttore prolifico di vini da uve autoctone e internazionali. Per fare breccia in questo mercato sono necessari importanti accorgimenti, certamente impegno, ma anche creatività e pianificazione strategica. Per capire quali tipologie e stili di vino potrebbero essere competitivi a livello commerciale e quali sono le categorie di consumatori su cui puntare, occorre prima di tutto analizzare il mercato interno.

Il mercato interno sudafricano

Il quadro del mercato interno del vino in SA è fortemente dinamico. Negli ultimi anni la quantità di vino prodotto è aumentata esponenzialmente, accompagnandosi a un generale miglioramento nella qualità. Il SA inoltre è competitivo nell’industria dell’export, settore molto solido del wine business nazionale.

La superficie vitata totale consta di circa 235.000 acri o 95.000 ettari – secondo Forbes, equivalente al 40% del vigneto californiano. La viticoltura sudafricana è generalmente influenzata dai trend internazionali e si basa molto sulla domanda di esportazione. Le statistiche mostrano come i vitigni a bacca bianca costituiscano il 55,2% del vigneto totale, il più popolare dei quali è rappresentato da Chenin Blanc (18,6%). Fra le varietà a bacca rossa spicca il Cabernet Sauvignon (11%); al secondo posto troviamo lo Shiraz (10,3%), seguito dal Merlot (5,8%). L’autoctono Pinotage (incrocio tra Pinot Noir e Cinsault) è coltivato sul 7,4% della superficie totale.

In termini di produzione vinicola su scala globale, il SA si colloca al decimo posto nel mondo rappresentando il 3,4% di vino prodotto in volume complessivo.

Cosa dire dunque ai produttori italiani che intendono importare il proprio vino in SA? Come è strutturato il business dei vini internazionali nel mercato sudafricano? Quali sono le preferenze dei consumatori?

Le cose da sapere sull’import in Sudafrica

Secondo un rapporto WESGRO del 2017, l’import italiano in SA è un business dalle ampie prospettive di sviluppo. I numeri lo confermano: l’Italia è il secondo Paese dopo la Francia a colonizzare il mercato sudafricano con il suo vino. Segue il Portogallo al terzo posto. È inoltre importante prendere nota del fatto che Europa e SA godono di un accordo di libero scambio per i prodotti biologici. Il trend del vino biologico è ormai una realtà consolidata in Italia, e può diventare il fattore chiave su cui puntare per aumentare i volumi di esportazione in mercati ricettivi per questo tipo di prodotto.

La produzione vinicola sudafricana è influenzata particolarmente dalle questioni di equilibrio economico e dalla capacità di spesa. Il comportamento dei consumatori è intrinsecamente legato a questi due fattori, ed è cruciale per gli importatori effettuare un’analisi accurata del PIL di riferimento. Nel caso del SA, un leggero rallentamento nella crescita economica ha determinato un visibile calo nell’acquisto dei vini: di conseguenza occorre sviluppare delle strategie mirate per sollevare l’interesse del target di riferimento.

A queste analisi si deve affiancare lo studio approfondito della legislazione. Il SA negli ultimi anni ha adottato misure sempre più restrittive per quanto riguarda marketing e vendita del vino: le limitazioni si concentrano in particolare sulla regolamentazione dell’etichettatura e sulle regole relative alla commercializzazione degli alcolici. Per l’importatore italiano è necessario conoscere e rispettare le norme, nonostante in SA queste rendano sempre più difficile i processi di distribuzione e vendita del vino.

Import italiano in Sudafrica: i trend

Di quali strumenti può avvalersi l’importatore di vino italiano per orientarsi nel mercato sudafricano?

Prima di tutto occorre capire quanta domanda effettivamente c’è per il vino, non solo italiano ma in generale. In questi casi è utile consultare le statistiche sul consumo di alcolici. A livello nazionale, in SA birra e vino superano di gran lunga le altre bevande alcoliche (OMS): la birra (56%) a sua volta è molto più popolare del vino, che rappresenta “solo” il 18%.

I dati demografici dimostrano che gli uomini consumano più birra delle donne: lo scarto corrisponde al 34%, circa  quattro volte in più della controparte femminile, un dato che è rimasto pressoché invariato nel corso degli ultimi 12 anni. In generale, il consumo di alcolici nei maschi è quasi il doppio di quello delle femmine.

Il vino costituisce un caso isolato: la prevalenza del consumo maschile è infatti solo marginalmente superiore a quello femminile. Le donne superano gli uomini nel consumo di vini spumanti e Champagne (rispettivamente 8% e 7%). Questo ultimo dato è particolarmente interessante, in quanto ci dice che è in espansione un mercato per le bollicine italiane, su tutte Prosecco ma anche Metodo Classico come Franciacorta e Trentodoc.

Vino sudafricano da uve italiane

Se il mercato per i vini italiani in SA è ancora in via di sviluppo, i vini locali da uve italiane invece sono una realtà di discreto successo già da qualche tempo. Le varietà italiane costituiscono un piccolissimo segmento (meno dell’1%) del vigneto sudafricano, tuttavia la domanda cresce e i vini che ne risultano sono molto popolari. Le ultime notizie vengono da Città del Capo, in cui 30 cantine hanno almeno un vino da uve italiane nel loro portfolio. Questi dati costituiscono un segnale positivo per gli importatori, che possono contare su una fan-base già piuttosto consolidata.

Il terreno per i vini italiani in Sudafrica sembra dunque fertile. Considerati il trend del biologico, la popolarità delle bollicine e l’interesse crescente per i vini da uve autoctone italiane, c’è spazio di manovra per produttori e importatori italiani. Forse ci vorrà un piccolo sforzo in termini di marketing e una speciale attenzione alla legislazione, ma le prospettive di crescita sono promettenti.

 

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